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Ivonne e la riflessologia plantare

Dialogo con Ivonne Gecchelin – Riscopriamo la riflessologia plantare ovvero l’arte di massaggiare i piedi

A cura di Gianni Faccin – Redazione Libellula

Se guardiamo nel web troviamo le seguenti indicazioni: La riflessologia plantare è una pratica della cosiddetta medicina alternativa, che prevede la pressione e il massaggio della pianta dei piedi, con lo scopo finale di alleviare determinati disturbi o sintomi, aventi sede in altre parti del corpo.

Ivonne Gecchelin, che abbiamo già visto all’opera con il Do In (è una tecnica di auto-trattamento che consiste in pressioni sui vari punti del corpo con i polpastrelli delle dita per far fluire l’energia) nella nostra iniziativa della primavera 2023, è da molti anni ricercatrice, operatrice e insegnante di discipline del ben-essere.

Con la nuova iniziativa si propone in un ambito molto citato, dibattuto, ma non sempre ben conosciuto. Il concetto di fondo della riflessologia plantare è che a determinate zone dei piedi corrispondano ben precisi organi, strutture nervose, articolazioni….

Arrivando al sodo ci affidiamo a Ivonne per capirne di più, in attesa di incontrarla in alcuni dei prossimi week end.

Redazione: Ivonne parlaci in breve della Riflessologia plantare …

Ivonne: Si tratta di una pratica antica di provenienza orientale che permette di intervenire sul corpo mediante pressioni e massaggio fatto sui piedi.

R.: Da noi da chi è stata scoperta?

I.: In occidente è stata scoperta da William Fitzgerald ma è sempre stata usata in tutte le medicine orientali come la Medicina Tradizionale Cinese, la Ayurvedica, la Tibetana ecc.

R.: Su che cosa si basa?

I.: Sul principio per il quale il piede rappresenta l’intero corpo, con tutte le componenti fisiche e psico-somatiche.

R.: Ci puoi dare un’immagine?

I.: Immaginiamo due piedi affiancati con le dita rivolte verso l’alto, sovrapponiamo loro l’immagine di un corpo umano ed ecco la pianta del corpo umano sui piedi.

R.: Sembra semplice …

I.: Beh l’unica strada è sperimentare la riflessologia …

R.: E dal punto di vista scientifico? Sappiamo che non è tutto così scontato. Del resto come in tantissimi altri casi …

I.: Già. Possiamo dare un’indicazione scientifica dicendo che ogni punto del piede è unito tramite una terminazione nervosa ad un certo ganglio sulla spina dorsale, che a sua volta è collegato ad un organo e al cervello. Da qui arriviamo alla conseguenza che le terminazioni nervose di riflesso impattano su tutto il corpo.

R.: E quindi?

I.: Grazie agli stimoli sensoriali che ne derivano premendo sulle varie parti del piede, si producono svariate reazioni, a livello cerebrale e midollare, in grado di influenzare sia il funzionamento di alcuni organi, che la situazione psico comportamentale. Si va ad agire sui vari organi come venissero effettivamente “toccati” e massaggiati. Questo facilita il ritorno di un equilibrio energetico, un miglioramento della circolazione e si correggono le disarmonie in generale. Infatti stimoli piacevoli e appropriati possono avere effetti positivi sulla salute psichica e sulle funzioni fisiche.

R.: Ivonne, esprimiamo un augurio …

I.: Auguro a molte persone che avvicinarsi alla riflessologia e farne esperienza. Per me è stato molto importante conoscere quest’antica arte e imparare anche ad utilizzarla, anche come “auto-trattamento”.  Infatti, imparare a manipolare i piedi ci aiuta a prendere in considerazione il corpo nella sua totalità con le sue connessioni tra le diverse zone e questo ci permette anche di prendere consapevolezza delle cause dei vari disturbi e realizzare la prevenzione.

In realtà è un metodo semplice, piacevole e anche divertente da utilizzare in famiglia, con gli amici, conoscenti ed anche per il benessere di bambini e neonati.

R.: Se ho capito bene, in conclusione, in questa pratica viene tralasciato il cosiddetto approccio sintomatico …

I.: Esattamente. Si tratta di lavorare sull’interazione tra mente-corpo-spirito. In definitiva l’approccio parte da una visione olistica per arrivare al ben-essere.

R.: Grazie Ivonne e buon lavoro.

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Immagini: foto di repertorio di Ivonne Gecchelin – locandina a cura di Stefano Quarshie


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Sabrina e il sempre attuale “filò”

dialogo con Sabrina Dalle Nogare – Alla scoperta dell’antica arte del “Filò”

A cura di Gianni Faccin – Redazione Libellula –

Filò è una bellissima parola che ci rimanda a tempi memorabili. Tempi vissuti dai nostri avi e vissuti anche da noi nei loro appassionati racconti. Si dice “filò” parlando delle veglie invernali che le persone contadine passavano nelle stalle delle case coloniche. Erano persone legate da parentela, amicizia o vicinato che si incontravano per stare al caldo, risparmiando la legna e usufruendo del calore animale e per fare filò, appunto. E “far filò” voleva dire, in pratica, stare insieme e discorrere in libertà con leggerezza e serenità.

Ed è un po’ questo che ci propone Sabrina, anche se in tal caso il richiamo al pensare e al sottofondo filosofico, pur in leggerezza, è prevalente per permetterci di andare oltre e non rimanere statici come persone.

Quindi, ecco che ripartiamo con Sabrina e l’arte del “filò” (vedere sotto la locandina).

Ma ora cerchiamo di conoscere meglio la nostra “facilitatrice”, che è anche tra i fondatori della nostra Associazione.

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Redazione: Sabrina per iniziare dicci qualcosa di te …

Sabrina: Sono Sabrina, ho 47 anni e vivo a Schio.

R.: … e …

S.: … Da sempre appassionata di psicologia e relazione di aiuto, a 35 anni ho deciso di riprendere gli studi, e mi sono diplomata in Counseling Filosofico-Relazionale.

R.: Conoscendoti, sappiamo che per te la dimensione psicologica ha molto a che fare con l’impegno nella relazione d’aiuto. Giusto?

S.: Sì, è proprio così.

R.: E per te, cos’è la relazione d’aiuto?

S.: Per me la relazione di aiuto è uno scambio profondo, attraverso il quale, accompagnando l’altro alla scoperta di qualcosa di se stesso, posso riscoprire qualcosa di me.

R.: E nella tua esperienza personale?

S.: La mia esperienza in questo campo riguarda sia i gruppi che l’individuo, con Caffè Filosofici per adulti, laboratori sulla Fiaba per adulti e bambini, attività presso sportelli di ascolto.

R.: Sabrina, quali sono le tue passioni?

S.: Le mie passioni: libri, lettura, scrittura, musica, passeggiate, viaggi itineranti, i treni, l’Irlanda, le erbe officinali e i cristalli.

R.: Tanta roba e … bella. Hai progetti per il futuro?

S.: I miei progetti per il futuro? Amare e coltivare il seme che la Vita mi sta donando oggi, per poter raccogliere qualcosa di bello e autentico domani.

R.: Insomma un meraviglioso sogno. Ce ne sono anche altri di sogni?

S.: I miei sogni molto terra-terra sono quelli di acquistare un mini-van e partire; vivere a contatto con la Natura e gli animali, seguendo i nostri ritmi naturali; ricostruire quelle relazioni sociali fatte di incontro reale, autentico e profondo.

R.: Sabrina ti ringraziamo per averci dato modo di conoscerti meglio. Anche tu desideri esprimere un grazie, giusto?

S.: Sì. Ringrazio la Vita per avermi donato mio figlio Tommaso, il mio compagno Matteo e tutte le persone che hanno fatto parte del mio cammino, perché ognuna di esse mi donato qualcosa.

R.: Bene, ancora grazie cara Sabrina. E avviamoci a sperimentare questo nuovo ciclo di Filò dei pensieri.

Immagini a cura di Sabrina Dalle Nogare


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Chi siamo? Come vediamo noi stessi e gli altri?

di Annamaria Sudiero –

“Com’è difficile vedere le persone che ci circondano diverse dalle figure che, nei nostri confronti, sono costrette a rappresentare”.

Come siamo? Come vediamo noi stessi e gli altri? Belle domande!

È facile se dobbiamo rispondere con le nostre generalità, ma la domanda che vorrei porre a me stessa, e a chi legge, è un’altra ed è complicato spiegarla.

Provo quindi a ragionare su me stessa in prima persona.

Personalmente negli ultimi anni sto imparando a sentirmi Io Persona, Annamaria, con i suoi pregi e i suoi difetti.

Ma per molto tempo mi sono sentita in primis figlia, sorella, amica e poi anche moglie e madre. Tutte “figure” che sento di aver portato avanti con passione, generosità e amore ma…

Quanto ho sacrificato del mio essere per farlo?

Nel momento in cui le ho vissute non ho sentito nessun sacrificio, ma se mi guardo indietro forse qualcosa di me ho perso nell’indossare quelle vesti.

O meglio, più che perso, ho soffocato in qualche maniera il mio modo di essere per svolgere quei “ruoli” come gli altri si aspettavano, per non essere giudicata.

Ecco che torna sempre il giudizio, su noi stessi e sugli altri!

Visto che mi piace parlare per immagini provo a farlo anche qui.

Siamo tutti delle magnifiche teche di vetro, che al loro interno contengono preziosi ninnoli, anch’essi di vetro e quindi fragili, che sarebbero poi i nostri ruoli.

Se non stiamo attenti, se non abbiamo cura di noi stessi, cioè di quel magnifico contenitore, finirà per rompersi, distruggendo così anche i preziosi ninnoli al suo interno, i nostri ruoli. Tutti i frammenti di vetro finiranno per confondersi e sarà difficile ricomporre ordinatamente il tutto.

In conclusione, pur assumendo con amore diversi ruoli, siamo in primis Persone e non dobbiamo mai dimenticarlo. Allo stesso modo, quando guardiamo gli altri dovremmo vedere prima le Persone e poi, dopo, il loro ruolo di madri, padri, figli, fratelli, amici…

Dobbiamo allora saperci abbracciare, volerci bene da soli per poter amare e voler bene agli altri e dobbiamo capire che chi ci sta vicino prima di voler bene a noi deve saper essere sé stesso e volersi bene.

Molte volte siamo proprio noi che non aiutiamo a farlo, con il nostro egocentrismo e i nostri giudizi e aspettative.

Ritrovare il centro

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Citazione: da Quaderno proibito di Alba de Cèspedes

Immagini: Woman e Jar da Pixabay


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Federica e l’arte del training

Dialogo con Federica Ruzzante – Alla scoperta del Training autogeno, una tecnica ormai diffusa per ritrovare l’armonia interiore

a cura di Gianni Faccin – Redazione Libellula –

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Redazione: Federica quali sono le tue passioni?

Federica: Amo il mare, la montagna, la neve e gli spazi immensi dove immergermi nella bellezza, ascoltare il silenzio, assaporare il benessere che ne deriva ed evolvere, un passo dopo l’altro, trasformando le sensazioni che ne ricevo in spinte verso la realizzazione dei miei obiettivi e desideri.

R.: La natura dunque, ma sappiamo che sei molto sportiva …

F.: Sì, è vero. Amo lo sport all’aria aperta: sci, corsa, bici, nuoto, alpinismo …

R.: Molto sportiva …

F.: È lo sport che più mi ha allenata alla vita, alla ricerca di dare sempre il meglio di me, credere nei miei punti di forza, superare i miei limiti insegnandomi ad affrontare le paure, a rialzarmi quando cado e a chiedere aiuto quando serve.
Con lo sport ho imparato l’amore per me stessa, attraverso l’equilibrio mente-corpo, il valore del rispetto, l’importanza delle regole, della leggerezza e che alla fine di ogni salita c’è sempre una discesa
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R.: Oltre allo sport ti sei orientata alle relazioni d’aiuto, ci riferiamo al counseling e al coaching …

F.: Sì. Ho sempre avuto la curiosità di scavare un po’ più a fondo senza accontentarmi di risposte superficiali. Per questo poi, da mamma, in un periodo particolare della mia vita, mi sono avvicinata al mondo della crescita personale, in particolare del coaching.


R.: Puoi spiegarci meglio?

F.: Volevo innanzitutto lavorare su me stessa e sul mio benessere, riscoprendo le mie risorse e il mio potenziale umano e sportivo per essere un supporto concreto a mia figlia nella sua crescita come donna e come atleta.

R.: Quale è stata la tua conquista più importante?

F.: La mia conquista più grande è stata quella di iniziare a credere in me stessa, di trasformare le mie insicurezze in forza propulsiva per imparare a stimarmi, piacermi e definire con chiarezza i miei obiettivi futuri. Da qui poi, coniugando la mia formazione ed esperienza, con la passione per le persone e la mia capacità di vedere oltre, il passo di trasformare un mio interesse nel mio lavoro è stato breve.

R.: Oggi ti proponi come “guida” nel percorso di “training autogeno” che la nostra Associazione lancia con l’inizio del 2024. Come ti poni su questo tema?

F.: È la mia professionalità che si esprime, che è oggi lo specchio della mia personalità e delle mie passioni. Le mie parole guida sono: trasformazione, sfida, ascolto, visione, sensi, intuito, bellezza, semplicità, leggerezza, attenzione, cura, forza e respiro.

R.: Bene! Nel ringraziarti, ricordiamo che “training autogeno” significa “allenamento autogenerante”, perché la sua pratica prevede auto-induzione in quanto chi si allena è attivo nell’agevolare mutazioni psichiche e somatiche finalizzate al proprio benessere psico-fisico.

Un primo percorso, come immagine sotto riportata, partirà a Schio proprio nel gennaio prossimo.

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Immagine in evidenza e in fondo al testo: Federica in varie manifestazioni dall’archivio di Federica Ruzzante (g.c.)

Riferimenti nel testo: https://www.aiutoallapersona.it/blog/parole-30-training e https://www.aiutoallapersona.it/blog/parole-31-autogeno


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Annamaria e l’arte del quilling

Dialogo con Annamaria Sudiero – Alla scoperta del Quilling, una tecnica antichissima per creare meraviglie, rilassandosi

A cura di Gianni Faccin – Redazione Libellula

A qualcuno non piacciono le parole in inglese, eppure vi sono espressioni e parole che non sono direttamente traducibili. E questo è uno di quei casi. Dialoghiamo con Annamaria che sta organizzando il primo ciclo di incontri per “far conoscere l’arte del Quilling”.

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R.: Annamaria, in breve, che significa quilling?

A: Mi rifaccio al web. È un’arte che consiste nell’usare piccole strisce di carta che vengono arrotolate, modellate ed incollate insieme per creare disegni decorativi. È proprio così.

R.: Da dove ci arriva?

A.: Sempre il web ci dice che le radici sono da ricercare nel Medio Oriente, probabilmente occorre cercare nell’Antico Egitto.

R.: Come è iniziato questo tuo interesse?

A.: Ho cominciato ad interessarmi al quilling circa 10 anni fa. È accaduto tutto per caso, cercando in internet qualcosa di semplice da realizzare con gli anziani della casa di riposo dove sono volontaria un paio d’ore alla settimana.  Ho sempre avuto una buona manualità, forse ce l’ho nel DNA, visto che fin da ragazzina aiutavo papà, quando anche lui, si dilettava con i suoi modellini di aerei, di navi o con il plastico dei trenini. Quanto mi divertivo! Più tardi con mia figlia Silvia ho sempre guardato e messo in pratica Art Attack, te lo ricordi? Divenuta adulta ho provato varie tecniche, come il patchwork, il decoupage, la string art, ma pur apprezzandole, non sono mai durate molto, mi stancavano presto.

R.: Invece, il quilling?

A.: Quando invece ho cominciato con il quilling, che ricordo è l’antica arte di arrotolare la carta e formare delle semplici decorazioni o composizioni che possono essere molto elaborate, ne sono stata subito affascinata e travolta. Forse avevo anche più tempo ma ho cominciato a creare direi quasi compulsivamente. Volevo sperimentare quello che vedevo e mettermi alla prova, riproducendo ciò che mi sembrava impossibile fosse fatto solo con della semplice carta. In internet si trovano moltissime immagini e video a cui ci si può ispirare ed io ho fatto proprio così.

R.: Annamaria, hai seguito una formazione particolare?

A.: Non ho frequentato corsi, per cui mi ritengo un’autodidatta, ho però 10 anni d’esperienza e qualche trucco l’ho imparato. Praticare questo hobby è diventato per me un toccasana.

R.: Un toccasana?

A.: Certo. Mi rilassa! I malumori, i pensieri che mi frullano in testa e mi possono rovinare la giornata se ne vanno quando sono lì che arrotolo le mie striscioline di carta, circondata dai loro colori.

R.: Fai anche delle esposizioni, delle vendite?

A.: Qualcuno spesso mi dice… perché non fai dei mercatini, così puoi guadagnare qualcosa… ma no, non voglio, voglio resti un hobby, non mi va che diventi un lavoro. Ho anche fatto qualche mercatino, quando qualcuno che mi conosce me l’ha chiesto e se ho del materiale da esporre, ma non l’ho mai cercato …  Qualcosa ho anche guadagnato, nei rari mercatini appunto o per dei lavoretti che conoscenti e amici mi hanno commissionato. Ma mi piace soprattutto, in occasioni speciali, fare dei piccoli regali agli amici, magari personalizzandoli.

R.: Ha costi particolari, come hobby?

A.: Posso dire trattarsi di un hobby che non ha grandi costi, ci si può ingegnare per poter risparmiare, ma sicuramente ci vuole un po’ di pazienza perché si lavora con piccoli oggetti. Ma non è difficile, quindi se qualcuno vuole provare, mi raccomando, è importante non si scoraggi, questa attività può dare grandi soddisfazioni.

R.: Esperienze da segnalare?

A.: Quest’anno mi hanno chiesto di far conoscere il quilling ai ragazzi che frequentavano il Grest del mio paese. Ero titubante, ma l’idea che questa tecnica potesse essere apprezzata anche dai ragazzi e che gli stessi imparassero ad usare le mani per creare qualcosa di semplice e bello da vedere mi ha stuzzicato. È stata una bellissima esperienza e posso dire che i ragazzi ne sono rimasti entusiasti. Perché allora non replicare con gli adulti dando loro gli strumenti per approcciarsi a questa antica, semplice e colorata arte. Poi ognuno deciderà se proseguire per conto proprio o se lasciare resti una semplice esperienza.

R.: E allora?

A.: E allora iniziamo con… Semplicemente quilling!

Grazie Anna. Il percorso, il primo, partirà proprio il mese prossimo.

Quattro serate per un approccio a questa meravigliosa tecnica.

Dunque, Semplicemente Quilling!

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Smettiamola di dire che non possiamo fare nulla per cambiare le cose

Titolo-citazione da “I poveri non ci lasceranno dormire” di Alex Zanotelli

Intervento a cura di Gianni Faccin per Librarsi Liberi

I poveri non ci lasceranno dormire! Sarà vero? Questa non è proprio una recensione, ma una provocazione di cui abbiamo bisogno. La riflessione è stata costruita su richiesta della redazione Novità in Lettera (Gsm San Giorgio odv) per sostenere l’attività della libroteca Librarsi Liberi.

Ci sono momenti nella vita in cui occorre non solo rifarsi alle origini e all’autenticità, ma in cui è salutare anche riprendere in mano le esperienze e le testimonianze di persone speciali che hanno fatto la storia, che hanno fatto la differenza, che hanno contribuito a migliorare il mondo e che hanno anche pagato con la vita oppure lo stanno facendo oggi, ai nostri giorni, ricevendo insulti, scherno, anatemi e altro.

Nella nostra epoca non c’è più distinzione tra principi e slogan, è tutto centrifugato assieme. Non c’è più distinzione di ruolo: chi ci governa fa a gara a spararle più grosse per acquisire visibilità; chi è professionalmente impegnato si dedica moltissimo alla vetrina social perché se non ci sei (sui social) non esisti; chi fa politica è ossessionato dal sondaggio che da tempo ha fatto le scarpe agli esiti elettorali previsti dalla nostra Carta costituzionale; infine, chi si alimenta di propaganda anche spicciola è disorientato, non sa più dove è di casa la verità. Tutti contro tutti in un grande contenitore di confusione. Insomma, basterebbe citare solo alcuni esempi per farsi l’idea di come siamo caduti in basso.

Detto questo, si può invece scegliere di citare esempi positivi, autentici, che non guardano ai sondaggi o alle vetrine, ma bensì al bene dell’uomo e al cosiddetto bene comune. E crediamo che persone come papa Bergoglio, don Luigi Ciotti e padre Alex Zanotelli siano tre esempi tra i tanti a cui potremmo rifarci per trovare motivi di speranza e riuscire a orientarci in un mondo in cui il vero sovrano è il caos. Questo anche perché, purtroppo, non riusciamo ad intravvedere persone serie di riferimento nella nostra società tra quelle che quotidianamente ci perseguitano con le loro “trovate”, sia a livello politico sia in tutti gli altri ambiti della società.

Ma c’è una buona notizia: c’è ancora tra di noi padre Alex Zanotelli, del quale deteniamo due tesori presso la libroteca Librarsi Liberi. Si tratta di “Korogocho” e di “I poveri non ci lasceranno dormire” (entrambi ed. Mondolibri 2005). I due libri sono per padre Alex una grande testimonianza che si rifà all’esperienza presso le baraccopoli di Korogocho in Kenia. In quei territori padre Alex ha vissuto per oltre 12 anni. Il suo urlo ci accompagna da oltre vent’anni anche in Europa, tra i cosiddetti civilizzati, sia nelle periferie delle grandi città sia negli innumerevoli incontri con la società civile: “Smettiamola di dire che non possiamo fare nulla per cambiare le cose”. Possiamo scoprire il senso profondo della vita nelle pagine scarne e di alta ispirazione, concrete e al contempo colme di possibilità. I due libri sono alla portata di tutti e possono aiutare a trovare verità, sicuramente scomode, e situazioni reali che ci toccano in profondità. Di certo, questi libri non sono adatti a coloro che desiderano vivere su pianeti virtuali, mondi illusori, realtà fatte di manipolazione che ti portano a vivere come in una fiction.

La vita di padre Alex è tutta testimonianza. Egli ci spinge a rivedere con gli occhi degli ultimi, dei senza voce, degli esclusi, degli invisibili, di coloro che etichettiamo come individui da civilizzare, un sistema economico, militare e mass-mediatico (padre Alex lo definisce l’”impero”) che ci sta inglobando tutti. Si tratta di accogliere il suo invito vivente alla resistenza, alla ribellione rispetto al “così fan tutti” e all’indifferenza. Una rivolta contro ogni qualunquismo e un’azione di vita in favore del diritto alla riappropriazione della capacità di pensare.

Da tempo il nostro costruttore di pace opera senza sosta in Italia. Egli agisce come ai tempi in cui era direttore di “Nigrizia”. Chissà chi si ricorda di questa gloriosa rivista … Oggi, da noi, è attivo tra Beati i costruttori di pace e Rete Lilliput, tramite i quali incita ad un approccio decisamente rivoluzionario: essere alla scuola dei poveri.

Una nota rivista sociale così lo descrive: “Nato a Livo, in provincia di Trento, ha attraversato il mondo: entrato da giovanissimo nei Comboniani, ha studiato negli Stati Uniti d’America, ha fatto il missionario in Sudan e in una delle più grandi baraccopoli di Nairobi, in Kenya. Dal 2004 è tornato in Italia dove – racconta – è stato mandato a convertire la tribù bianca. E lui ci prova. Lo fa dal quartiere Sanità dove ha scelto di andare a vivere in una stanza ricavata nel campanile della chiesa che si trova nella piazza del rione, tra i ragazzi di strada, chi non arriva a fine mese e chi prova (pochi) a combattere con lui la criminalità organizzata. Padre Zanotelli non ha il cellulare, non ha un conto corrente, non ha una macchina. Per lui la povertà non è una parola ma la sua vita. Una cosa è certa questo vecchio crede moltissimo nelle nuove generazioni e dalle stesse è molto seguito. La carta vincente è la sua autenticità: quanto dice, lui lo pratica per primo, ogni giorno. Ed è proprio questo che i giovani si aspettano da chi ha più esperienza.

Di recente, in occasione dei suoi 85 anni, ha rilasciato una interessante intervista ad un quotidiano nazionale. Diamo uno sguardo ad alcune parti di un dialogo che appare illuminante.

Giornale: 85 sono tanti, eppure pare non ci siano …

P. Alex: No, ci sono. Non ho più la forza di una volta ma sono grato al Signore del dono di essere arrivato alla mia età con la testa che funziona e il corpo che tiene. Così posso aiutare soprattutto i giovani. La mia generazione sarà tra le più maledette della storia umana perché nessuno ha talmente devastato il pianeta Terra come abbiamo fatto noi. A questi ragazzi consegniamo un mondo gravemente malato. A loro dico: il futuro non esiste, siete l’unico presente che abbiamo e toccherà a voi cambiare tutto.

Quando parlo loro, vedo che rimangono sorpresi della capacità critica di analizzare e da quella di leggere insieme la realtà. Io sono missionario, credente, ma anche la Chiesa spesso compie dei peccati: bisogna riconoscerli. Questo i giovani lo apprezzano.

G.: Uno degli ultimi clamori che ha suscitato curiosità e interesse in Italia riguarda la conseguenza delle parole del generale Vannacci che tra le altre cose ha scritto nel suo libro “Chi arriva in Italia dovrebbe ringraziare per la compassione e la generosità”. Che ne pensa?

P.A.:  Sono meravigliato non solo di ciò che ha detto Vannacci ma del fatto che abbia trovato un pubblico così vasto, soprattutto nel web. Mi sorprende l’avanzata dell’ultradestra, del suprematismo bianco. La mia gente a Korogocho mi ha imposto le mani e un pastore della Chiesa indipendente africana ha detto: “Ti prego Papà dona il tuo spirito ad Alex perché possa tornare dalla sua tribù bianca e convertirla”. Se non accadrà, non c’è speranza né per noi né per loro.

G.: Il Presidente Mattarella, ha ricordato al Meeting di Rimini che “La nostra Patria è frutto dell’incontro di etnie, riferendosi probabilmente proprio a Vannacci e chi lo ha difeso. Basta il capo dello Stato?

P.A.: No. Dobbiamo fare tutti uno sforzo a partire dalla Scuola che non lo sta facendo. Dobbiamo cominciare a capire che c’è qualcosa dentro di noi: il suprematismo bianco ce lo portiamo dentro. Siamo convinti di avere la civiltà, la cultura, la religione superiore a tutti gli altri. Da qui le affermazioni di Vannacci. La gente che sta arrivando in Italia è il frutto amaro delle politiche neocoloniali, del disastro ecologico che facciamo in Africa.

G.: Papa Francesco per quanto riguarda la guerra parla ormai di “offensiva di pace”, inviando il cardinale Zuppi ovunque. Può funzionare lo “schema” Bergoglio?

P.A.: Certamente il Vaticano deve usare la parte diplomatica fino in fondo ma il problema è un altro: o riusciamo finalmente a dire basta al riarmo o passeremo da un conflitto a un altro. L’anno scorso l’Unione Europea ha speso 345 miliardi di euro in armi: non è mai accaduto prima d’ora. È la follia umana. Stanno vincendo i mercanti di morte!

G.: Lei vive tra i poveri anche in Italia. Un ministro al Meeting di Comunione e Liberazione ha detto: “I poveri mangiano meglio dei ricchi”. È così?

P.A.: I ministri dovrebbero smetterla di dire fesserie. Non possono parlare dei poveri. Chiederei a tutti quelli che vogliono parlare di povertà prima di scendere tra la gente, vedere come vive e poi parlare. Altrimenti sono solo discorsi ideologici che in 85 anni ho sentito a non finire. La politica faccia il suo mestiere.

G.: A 85 anni sente dei rimorsi?

P.A.: Sì, tanti. Avrei voluto fare molte cose in più ma sono felice che nella mia vita abbia rischiato continuamente per smascherare i sistemi. Sono contento soprattutto di aver camminato per dodici anni con gli impoveriti di Korogocho. Sono stati i miei maestri di vita.

G.: Il ricordo più bello?

P.A.: La bellezza di questi poveri della baraccopoli dove ho vissuto. Questa gente ha una sapienza che mi ha aiutato a tentare di credere quando anch’io ho rischiato di dire che Dio è una falsità. Davanti a tanta sofferenza ti chiedi: Dio dove sei? Ho in testa quella ragazzina malata di Aids, abbandonata anche dalla mamma che ho assistito negli ultimi giorni di vita. Le chiesi: “Dio chi è per te?” E lei mi rispose: “Dio è mamma”. E io sono caduto dalle stelle. Gli ultimi ti rivelano il mistero di Dio.

G.: Per finire una domanda dalla citazione di Borges che ha scritto: “Se io potessi vivere un’altra volta la mia vita, nella prossima cercherei di fare più errori non cercherei di essere tanto perfetto…”. Se potesse vivere un’altra volta che farebbe?

P.A.: Farei le stesse scelte. Starei dalla parte degli impoveriti. È una passione che eredito da Gesù che ha messo in crisi il sistema. Roma crocifiggeva schiavi e sobillatori contro l’impero. Anch’io il Vangelo ho dovuto digerirlo lentamente. La vocazione che ho avuto l’ho imparata da quel povero Gesù di Nazareth.

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Che dire, in questo pezzo articolato, ho preferito passare dal recensire al comunicare l’autentico e l’essenziale, proprio dalle parole recenti e dirette dell’autore. Sicuri che, in tanto caos e fluidità a tutti i livelli, ci venga offerta una nuova possibilità: dall’essere indifferenti al fare la differenza.

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Immagini: Baracche by Vleyva per Pixabay

Riferimenti intervista: A. Cortazzoli per Il Fatto Quotidiano 26 agosto 2023

Riferimenti nel testo: da https://www.aiutoallapersona.it/blog/persone-24-alex


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Come foglie cadute

di Annamaria Sudiero –

“Più rabbia verso il passato conservi nel tuo cuore, meno capace sei di amare il presente.”

Mi piace fare lunghe passeggiate con Silvia, mia figlia. Sono momenti in cui parliamo di noi, del nostro pensiero, anche su temi importanti, sia personali che sociali. La pensiamo quasi sempre allo stesso modo e questo ci aiuta a sentirci vicine, anche se abitiamo in spazi lontani e siamo cresciute in tempi diversi.

Lei, educatrice in una comunità per donne in difficoltà, ed io, volontaria in un centro d’ascolto, abbiamo avuto modo di vedere come il passato, con i suoi traumi, le sue ferite, consapevoli o inconsapevoli, possa influenzare negativamente il presente.

Proprio di questo abbiamo chiacchierato durante l’ultima passeggiata. Ad entrambe è venuto spontaneo paragonare il passato al tipo di terreno che in quel momento stavamo calpestando.

Talvolta capita di camminare sopra un letto di aghi di pino, non si sente nessun suono e sembra di camminare su qualcosa di morbido che attutisce i tuoi passi. Come quando il passato ci richiama alla mente solo bei ricordi, momenti felici, che ci aiutano a vivere il presente “morbidamente”, con forza e serenità.

Camminando invece su di un letto di foglie secche, seppure questo suono sia molto piacevole, ci è parso adeguato paragonarlo ad un passato che ha fatto rumore, che ha “scricchiolato”, come le foglie calpestate. Un passato doloroso, infelice, che ha lasciato ferite, magari credute chiuse ma che non lasciano “andare avanti”.

Quando poi, sulla strada che in quel momento era in salita, la grande quantità di foglie non ci ha fatto scorgere i piccoli gradini in pietra che erano stati messi lì proprio per aiutare il viandante a salire senza difficoltà, ecco che quegli scalini ci sono sembrati le opportunità del presente, che il passato, le foglie cadute, non fa scorgere, ma che, se viste, se accolte, potrebbero aiutare a vivere in modo più agevole, più sereno, più libero.

Come dire che se riusciamo a lasciare il dolore, la rabbia, la frustrazione che ci portiamo dentro e che viene dal nostro vissuto, riusciremo forse a scorgere un orizzonte più sereno, un cielo limpido che le foglie, cadute dagli alberi, ci lasciano intravvedere se alziamo lo sguardo.

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Citazione: by Barbara De Angelis

Immagini: in evidenza Sentiero fogazzariano Tonezza by AnSu e altra Mississippi by Pixabay


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Cambiare fa fiorire la speranza

di Annamaria Sudiero –

Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti.

Negli ultimi tempi, dopo aver più volte sentito persone dire “speriamo che qualcosa cambi, speriamo che il mondo migliori, speriamo che…”, mi risuonano in testa tre parole. Ho acceso il computer e ho cercato il loro significato sull’enciclopedia.

Provvidenza: avvenimento fortunato e imprevisto o fortemente desiderato che inaspettatamente risolve situazioni difficili, problematiche, pericolose.

Speranza: sentimento di aspettazione fiduciosa nella realizzazione, presente o futura, di quanto si desidera.

Cambiamento: il cambiare, il cambiarsi. In sociologia, cambiamenti sociali e culturali, quelli che determinano trasformazioni nella struttura sociale e culturale di un gruppo.

Credo quindi di aver trovato conferma ai miei pensieri.

La provvidenza rappresenta la staticità, lo stare fermi. Qualcuno, qualcosa, al di fuori di noi, ci metterà la mano, interverrà, provvederà appunto. È un atto di fede.

La speranza invece, a mio parere, non può essere statica, se non per avvenimenti in cui contano molto la fortuna o il caso. Altrimenti non possiamo aspettare che qualcosa “cada dal cielo” e le dia forma. Sia che riguardi un sogno, un desiderio, un traguardo personale o collettivo il più delle volte la speranza deve essere nutrita, coltivata. Deve essere messa in moto, si deve fare qualcosa affinché essa possa prendere corpo, possa essere realizzata.

Ed ecco allora che entra il gioco il cambiamento. Sia personale che collettivo. Perché per mettere in moto la speranza dobbiamo necessariamente cambiare qualcosa. Nei nostri pensieri, nei nostri comportamenti, nelle nostre abitudini o quant’altro possa servire. Non si può restare inermi ad aspettare. Dobbiamo ingranare la marcia perché, se restiamo in folle, resteremo fermi.

La speranza è un seme che deve essere piantato e curato con il nostro cambiamento per poterne alla fine raccogliere il fiore. Se poi quel fiore sarà colto anche da qualcuno che per quel seme non ha fatto nulla, per lui sarà provvidenza, non divina certo, ma sempre provvidenza.

In questo mondo che, visti gli accadimenti dell’ultimo periodo credo si possa proprio dire, sta andando a rotoli, non possiamo solo sperare che qualcosa cambi, la provvidenza non basta più. Ascoltiamo anche le speranze degli altri, possono essere da noi condivise. Osserviamo e valutiamo i cambiamenti che ci invitano a fare per far sì che il fiore sbocci. A volte ci potranno sembrare inutili, troppo semplici o al contrario faticosi, ma mettiamoci in moto, come ne siamo capaci, e piantiamo qualche piccolo seme. Darà vita a piante e frutti di cui tutti potremo beneficiare. Certo ci vorrà tempo ma… Lao Tze diceva:

“Un albero il cui tronco si può a malapena abbracciare nasce da un minuscolo germoglio. Una torre alta nove piani incomincia con un mucchietto di terra. Un lungo viaggio di mille miglia si comincia col muovere un piede”.

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Citazione: Charles Robert Darwin

Immagini: Hands e Change by Pixabay


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Trasformazione, consapevolezza e libertà

Non è ciò che sei che ti trattiene, è chi pensi di non essere

Barbara Pozzo “Soomebliss”

Possiamo essere i peggiori nemici o i migliori alleati di noi stessi, non ce lo diciamo spesso ma lo sappiamo tutti, e quando questa consapevolezza si fa più pressante può iniziare la nostra trasformazione.

Qualcosa in noi comincia a disturbarci, ci rende insoddisfatti rispetto a ciò che facciamo e a come ci sentiamo.

A volte, forse più di quanto crediamo, sono gli altri che ci stimolano, perché riescono a vedere in noi quello che noi stessi non riusciamo a scorgere. Magari per pigrizia, per paura, perché qualcun altro ci blocca, anche inconsapevolmente, o per mille altri motivi.

Molte volte lo chiamiamo cambiamento ma a mio parere non è il giusto termine.

Credo che tutto quello che arriverà in un simile percorso sia già insito in noi, nascosto dalle nostre ansie, dalle nostre paure che non ci aiutano certo a tirare fuori le nostre potenzialità, a sbocciare, a fiorire.

Nasciamo già rose, con le nostre spine certo, ma non potremo mai diventare margherite, gigli o tulipani!

La lotta per raggiungere la nostra piena fioritura è quasi esclusivamente con noi stessi, anche se spesso imputiamo ad altri le difficoltà che incontriamo nel nostro fiorire.

Siamo noi in primis a dover riconoscere i nostri limiti e capire se vogliamo superarli o no.

Ognuno impiegherà il suo tempo per sbocciare, chi gli è accanto lo potrà aiutare innaffiandolo di ottimismo, vicinanza e senza giudicare come e quanto impiegherà a distendere le ali e a volare.

Proprio come la libellula, che dà il nome alla nostra associazione, la quale vive la maggior parte della sua vita come larva, nell’acqua, e solamente quando è pronta esce da quel guscio, si distende e spicca il volo… libera!

“Le libellule ci ricordano che siamo leggeri e che possiamo riflettere la luce se decidiamo di farlo. Ricorda sempre di risplendere affinché tutti possano vederti”





Robyn Nola 

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La libellula

Libellula: simbolo di libertà, pace e consapevolezza.
Le libellule sono un genere di insetti che appartiene all’ordine degli Odonati. Il nome Libellula deriva dal termine latino “libra”, il cui significato è bilancia. Questo deriva dal fatto che questo elegante insetto, mentre è in volo mantiene le ali in posizione orizzontale.

Altri studi fanno risalire, invece, il nome Libellula dal termine latino libellum, diminutivo di liber con in significato di “libero”.

Nella tradizione e nelle leggende di molte culture questo elegante insetto visto come un essere magico per via delle sue sembianze e dei colori sfavillanti che si accentuano con il riflettersi della luce solare. Le sue ali, velocissime e lunghe, le permettono movimenti molto veloci ma aggraziati e il suo corpicino esile richiama i piccoli spiriti della natura.

La Libellula trascorre gran parte della vita sul fondo di uno stagno come larva, poi incomincia la trasformazione con la quale assume le sembianze che tutti conosciamo e si libera in volo.
Proprio per tale ragione la Libellula viene vista come il simbolo della trasformazione, della mutevolezza della vita; insegna ad andare oltre le apparenze incoraggiandoci a trovare la propria identità e ad affermare la nostra personalità.

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Testi e citazioni dal web: https://www.mitiemisteri.it/simbologia-significato-degli-animali/libellula, a cura di Annamaria Sudiero.